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Quando ha torto il pedone investito?

In caso di omicidio colposo, il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l'investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, da sola sufficiente a produrre l'evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile.

Ciò non si realizza quando, pur trovandosi il pedone fuori dalle strisce, il conducente sia in un'area costeggiata da case ed esercizi commerciali su ambo i lati e debba, pertanto, considerare possibile l'eventuale sopravvenienza di pedoni e mantenere un livello di attenzione idoneo per evitare l'investimento.

Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza n. 39474/2016 (qui sotto allegata) che, nel caso esaminato, pur riconoscendo un concorso colposo del danneggiato del 35%, ha ritenuto non potersi escludere che il conducente che l'aveva investito, cagionandone la morte, potesse andare esente da colpa.

Inutile per la difesa sostenere che nella condotta del conducente, condannato in secondo grado per omicidio colposo, non fosse ravvisabile alcun profilo di colpa, evidenziando una condotta improvvida della vittima che aveva deciso di attraversare la strada in assenza di apposito attraversamento pedonale, in un punto privo di illuminazione e in presenza di un intenso traffico.

In realtà, precisano gli Ermellini, dal momento che la vittima era una persona di più di sessant'anni, non è plausibile che questa fosse in grado di compiere uno scatto repentino e così veloce da raggiungere la linea di mezzeria nel breve lasso di tempo intercorso tra il passaggio della macchina che precedeva l'imputato ed il sopraggiungere di quella dello stesso.

In particolare, occorre precisare che (contrariamente a quanto affermato dal ricorrente) la sentenza impugnata non afferma mai che la zona interessata dall'incidente fosse buia, ma soltanto che la stessa non era servita da illuminazione pubblica, ma, ciononostante, godeva di sufficiente illuminazione indotta dalle luci degli esercizi e degli insediamenti posti al lato della sede stradale nonché dall'azione dei fanali delle numerose autovetture transitanti in entrambi i sensi di marcia.

Neppure può escludersi che la vittima non fosse visibile per il solo fatto che lo stesso indossava abiti scuri: infatti, la moglie del conducente, seduta nel posto passeggero al lato del marito, ha affermato di aver visto la sagoma della vittima.

Logicamente, pertanto, il giudice d'appello ha ritenuto che, in presenza delle suddette condizioni di illuminazione, era ben possibile, per un conducente vigile e diligente, avvedersi della presenza del pedone. Di conseguenza, seppur la vittima ha tenuto una condotta poco prudente, attraversando in assenza di apposito attraversamento e in condizioni di traffico sostenuto, non si può ritenere che il suo comportamento integri una causa eccezionale, del tutto atipica, imprevista ed imprevedibile da sola idonea a causare l'evento lesivo e, quindi, tale da escludere qualsivoglia profilo di colpa del conducente.

Una conclusione coerente con la giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. Sez. 4 n. 10635/2013; Cass. Sez. 4 n. 33207/2013) secondo la quale "in tema di omicidio colposo, per escludere la responsabilità del conducente per l'investimento del pedone, è necessario che la condotta di quest'ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista ed imprevedibile dell'evento; causa da sola sufficiente a produrlo".

In altre parole, concludono gli Ermellini, "quando una strada è costeggiata su entrambi i lati da case ed esercizi commerciali, il conducente di un'autovettura, pur non trovandosi nell'immediata prossimità di un attraversamento pedonale, deve considerare possibile l'eventuale sopravvenienza di pedoni e, quindi, tenere un'andatura ed un livello di attenzione idonei ad evitare di investirli".

Non può, insomma, ritenersi eccezionale e imprevedibile che, nelle vicinanze di un bar, qualcuno decida di attraversare anche in assenza di strisce pedonali o di un semaforo: dunque il conducente dell'autovettura deve tenere in debita considerazione tale eventualità.

Nonostante l'esito e le peculiarità della vicenda esaminata, va sottolineata la giurisprudenza richiamata che di fatto va a sfatare l'assunto secondo cui "Il pedone ha sempre ragione", diffuso nella coscienza collettiva: si rammenta che l'art. 190 del Codice della Strada, impone ai pedoni di circolare su marciapiedi, banchine, viali e altri spazi per essi predisposti, oppure, se questi manchino o siano ingombri, interrotti o insufficienti, dovranno circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli in modo dacausare il minimo intralcio possibile alla circolazione, anche fuori dai centri abitati (per approfondimenti: Incidenti stradali: il pedone non ha sempre ragione).

Inoltre, i pedoni, per attraversare la carreggiata, devono servirsi degli attraversamenti pedonali, dei sottopassaggi e dei sovrapassaggi e, quando questi non esistono, o distano più di cento metri dal punto di attraversamento, i pedoni possono attraversare la carreggiata solo in senso perpendicolare, con l'attenzione necessaria a evitare situazioni di pericolo per sé o per altri. È vietato ai pedoni attraversare diagonalmente le intersezioni e sostare o indugiare sulla carreggiata, salvo i casi di necessità.

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