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Assegno divorzio: arriva la riforma.

Addio al tenore di vita ma anche all'indipendenza economica, a favore di una riforma dell'assegno di divorzio che recuperi il parametro "compensativo" garantendo l'"equità familiare". È quanto propone il ddl all'esame della commissione giustizia della Camera che potrebbe diventare legge, a breve, prima della fine della legislatura.

Una proposta che mira a correggere le "storture" createsi in giurisprudenza, dove, a seguito della recente rivoluzione compiuta dalla Cassazione si è passati da un eccesso all'altro: dall'assegno sempre e comunque riconosciuto, all'assegno solo se si è sulla soglia di povertà. 

Ne parliamo con la presidente della Commissione giustizia della Camera, Donatella Ferranti, prima firmataria del disegno di legge. 

Onorevole Ferranti, perché questo disegno di legge? Cosa si vuole ottenere?

La ragione è presto detta, è un disegno di legge che modificando l'articolo 5 della legge sul divorziointende rispondere a una duplice esigenza: un'esigenza di certezza e un'esigenza di equità. La recente sentenza della Cassazione, che in tema di assegno postmatrimoniale ha rovesciato l'orientamento che si era consolidato nel tempo, ha inevitabilmente creato una certa confusione giurisprudenziale rendendo opportuno un intervento legislativo. Un intervento che, tenendo conto di quella che è stata l'evoluzione culturale, sociale ed economica in questi anni, offra al giudice strumenti più adeguati per una valutazione ponderata.

Dopo la sentenza della Cassazione che ha detto addio al tenore di vita, si è passati da un eccesso di ingiustizia all'altro (ossia dall'assegno sempre dovuto al mantenimento solo se si è sulla soglia di povertà). Questo ddl servirà a trovare un equilibrio?

Certamente, è quello che ci proponiamo e ci auguriamo. Il punto è che dopo la pronuncia della Cassazione abbiamo avuto da un lato provvedimenti che si sono adeguati alla nuova lettura dell'articolo 5 della legge sul divorzio e dall'altro sentenze che invece valorizzano l'idea secondo cui fondamentale resta l'apporto che il coniuge ha dato alla vita matrimoniale. C'è insomma un'oscillazione tra due estremi che va riportata a un punto di sintesi che risponda a una esigenza di giustizia, ragionevolezza e prevedibilità delle decisioni. 

Quali sarebbero dunque i parametri di cui i giudici dovrebbero tenere conto per garantire l'"equità familiare" di cui si parla nella relazione?

E' chiaro che il parametro non può più essere il reddito precedente, il reddito in costanza di matrimonio. La novità è che noi abbiamo introdotto diversi parametri – cito, tra gli altri, le condizioni economiche in cui versano i coniugi alla fine del matrimonio, la durata del matrimonio, il contributo dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio, il reddito di entrambi, l'impegno di cura personale dei figli – che consentono di valutare la situazione effettiva e concreta in cui si trovano i due divorziati. C'è poi la grande novità della durata dell'assegno, nel senso che il tribunale può disporre che l'aiuto economico sia, per così dire, a tempo.

Tra i parametri indicati, vi è anche il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e l'impegno di cura personale dei figli. Nell'interpretazione giudiziale, ciò potrebbe essere tradotto nel garantire sempre e comunque l'assegno a chi ha fatto la casalinga tutta la vita rinunciando alla propria realizzazione?

Non la metterei in questi termini. Il problema non è ritornare a una visione, per così dire, protezionistica della donna o a un'applicazione meccanica della nozione di coniuge debole. Il problema è valutare nel concreto una serie di situazioni, tra cui certamente un certo peso avrà anche l'eventuale rinuncia alla crescita professionale o alla carriera lavorativa per assistere i figli o contribuire all'andamento familiare. E' chiaro che rinunce e cure coinvolgono solitamente le donne, ma non è sempre detto e soprattutto non è automatico, conta il fatto che vi sia stata una effettiva rinuncia a opportunità, capacità, titoli per supportare l'altro coniuge.

E nel caso, invece, dell'ex coniuge che lavora? Alla luce dei nuovi parametri l'assegno sarà escluso in via assoluta o sarà possibile valutare una eventuale "integrazione" del reddito onde evitare l'effetto "punitivo" scatenato dall'abbandono del criterio del tenore di vita a favore di quello dell'autosufficienza?

Il ragionamento è speculare a quanto ho appena detto. Il disegno di legge non intende né penalizzare chi lavora né premiare, per così dire, rendite di posizione. Ripeto: occorre che il giudice valuti nel concreto il rapporto matrimoniale e quindi la concretizzazione di diritti, doveri, responsabilità negli anni di vita di coppia. La filosofia del provvedimento è in qualche modo quella di compensare, a tutela del coniuge divorziato debole, lo squilibrio economico determinato dallo scioglimento del matrimonio valorizzando l'apporto dato nel rapporto familiare.

L'obiettivo dell'assegno a favore di un coniuge è quello di "compensare" per quanto possibile le disparità che il divorzio crea. Rappresenta, quindi, anche una tutela per i padri separati, spesso ridotti in uno stato di semipovertà?

E' inevitabile che sia così. Nel momento in cui l'entità dell'assegno divorzile è stabilita sulla base di parametri che fanno riferimento a concrete condizioni economiche della vita derivante dall'attuale situazione postmatrimoniale, credo sia piuttosto improbabile che si possa arrivare al paradosso di tutelare il coniuge debole rendendo più debole l'altro.

L'indicazione specifica dei parametri cui i giudici dovranno attenersi, attenuerà il rischio di interpretazioni "creative"?

Io direi solo che i parametri offrono al giudice una più salda base valutativa e motivazionale per determinare il se e il quanto dell'assegno. 

Il ddl introduce il concetto dell'assegno a tempo ispirato ai modelli di alcuni paesi europei? Cosa significa?

Significa che l'assegno può avere una durata predeterminata. Se il coniuge che lo chiede è in una situazione di reddito ridotto per ragioni contingenti o superabili, perché l'assegno dovrebbe essere permanente? Francia e Spagna, paesi a noi vicini per cultura e tradizione giuridica, hanno disposizioni analoghe.

Viene introdotta anche una sorta di "divorzio con addebito". Non crede possa esservi il rischio di scatenare processi infiniti?

E' una norma che stiamo valutando, anche alla luce delle audizioni che stiamo svolgendo in commissione Giustizia. Risponde, in un certo senso, all'idea di valorizzare il senso di responsabilità dei coniugi, ma ne soppeseremo i pro e i contro. Una norma simile, peraltro, è prevista dal codice civilefrancese. 

Il ddl è stato incardinato in commissione giustizia. Pensa vi siano chance che venga approvato in questa legislatura?

Non voglio spingermi in previsioni francamente azzardate o creare inutili aspettative. E' chiaro che ormai siamo nella fase conclusiva di questa legislatura. Io dico solo che questo disegno di legge risponde a una urgenza innegabile, che è quella – lo ripeto – di riportare ordine a una normativa che in sede di applicazione giurisprudenziale sta creando incertezze per i cittadini. Nei prossimi giorni si capirà se ci sono le condizioni politiche per accelerarne l'iter, considerando magari il percorso dell'approvazione diretta in sede legislativa.

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